La politica commerciale degli Usa è un campanello d’allarme: serve un’Europa più assertiva, non più attendista

«Il rinvio deciso dagli Usa sull’introduzione dei dazi rappresenta un’opportunità, ma anche un segnale d’allarme che non possiamo ignorare. Non è un gesto di apertura, ma una finestra tattica per rafforzare una posizione negoziale che si sta facendo sempre più aggressiva. In questo quadro, la posizione dell’Unione europea non può essere quella del semplice spettatore che confida nel buon senso altrui. Occorre una risposta coesa, ferma e consapevole del valore del nostro sistema produttivo».

Così Luigi Grechi, presidente di Confartigianato Lomellina, interviene sul rinvio al primo agosto dell’Ordine Esecutivo statunitense che introdurrebbe nuove misure tariffarie verso alcuni partner commerciali, tra cui l’Unione Europea.

«Le micro e piccole imprese italiane sono tra gli attori più esposti e allo stesso tempo meno tutelati in queste dinamiche. Non abbiamo l’inerzia delle grandi multinazionali: il nostro export è fatto di relazioni costruite nel tempo, qualità artigiana, filiere corte e grande adattabilità. Ma la nostra flessibilità non può continuare a sostituirsi all’assenza di una politica industriale europea forte e lungimirante».

«Il mercato americano, per molte realtà della Lomellina e del Nord Italia, non è un’opzione ma un asset strutturale. Le tensioni commerciali in atto rischiano di produrre effetti a catena ben oltre le frontiere Usa: dalla riduzione della domanda nei settori più esposti fino all’impatto negativo su intere filiere, in cui il made in Italy rappresenta un componente critico. Non possiamo permetterci di affrontare questa instabilità con strumenti ordinari e con il solito linguaggio diplomatico che evita di dire le cose come stanno».

Secondo Grechi, le istituzioni europee devono cambiare passo: «Serve un’Europa capace di tenere la linea, non solo nei tavoli tecnici, ma nella visione politica. Il mondo si sta ridefinendo in blocchi, e in questo processo l’industria europea – e italiana – rischia di perdere spazi fondamentali. Abbiamo bisogno di un approccio strategico, che combini difesa commerciale, investimenti mirati e reale sostegno alla competitività delle imprese».

«Non si tratta di rispondere con misure simmetriche o ritorsive, ma di evitare che le micro e piccole imprese diventino le prime vittime di una contesa fra potenze. Il nostro tessuto produttivo ha dimostrato una tenuta straordinaria, affrontando crisi, pandemia, instabilità geopolitica e rincari energetici. Ma ora serve un cambio di passo da parte delle istituzioni, italiane ed europee: servono strumenti concreti per affrontare la fase di transizione, diversificare i mercati, rafforzare le filiere interne e proteggere l’export strategico».

«La fiducia degli imprenditori – conclude Grechi – non è infinita. E non va data per scontata. Oggi serve un’Europa che non si limiti a raccomandare pazienza, ma che sappia pretendere rispetto e offrire soluzioni. Perché dietro ogni punto percentuale dell’export c’è un’impresa che resiste, un territorio che produce, un’economia reale che non può essere messa in stand-by ogni volta che il clima internazionale cambia vento».

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